I VOLTI DELLA PIETAS VENEZIANA
a cura di Laura De Rossi e Laura Marcomin
Venezia, Palazzo Contarini del Bovolo
dal 30 giugno 2018 al 31 dicembre 2018 10.00 – 18.00
Fin dal Medioevo Venezia fu costellata di Ospedaletti che fungevano da ricovero per pellegrini e di Ospizi che accoglievano a titolo gratuito una molteplicità di indigenti.
Tuttavia la nascita degli “Ospedali” veneziani, ovvero delle istituzioni di carità preposte alla cura e all’educazione dei bisognosi, fu un fenomeno prettamente cinquecentesco, legato al preoccupante afflusso di mendicanti provenienti dallaTerraferma, che si riversavano in città in conseguenza delle guerre e della terribile carestia che segnò i primi anni del XVI secolo. Ben presto questi Spitali si trovarono a svolgere un ruolo determinante per la collettività veneziana, proliferando nei secoli seguenti e distinguendosi per l’azione mirata di assistenza dei più deboli.
Si giunse così alla distinzione fra “Ospedali Grandi” – come l’Ospedale dei Derelitti ai Santi Giovanni e Paolo – destinati a ospitare malati, mendicanti, giovani orfani – e gli altri pii luoghi – ne sono esempio i complessi delle “Zitelle” nell’isola della Giudecca e delle “Penitenti” a San Giobbe – la cui fondazione era tesa alla prevenzione e all’educazione di giovani ragazze che, a causa del contesto economico e familiare in cui vivevano, rischiavano di essere avviate alla prostituzione; ma anche di coloro che questa condizione di marginalità l’avevano già vissuta e desideravano riabilitarsi in una nuova vita.
La sopravvivenza di questi luoghi dipendeva esclusivamente dai lasciti patrimoniali e in denaro di privati cittadini: tra questi, in particolare, di coloro che ricoprivano la carica di governatori o di presidenti, investiti del gravoso impegno di amministrare al meglio le risorse finanziarie disponibili. Il governo veneziano manteneva una sorta di supervisione attraverso i Procuratori di San Marco – e, in alcuni casi, del doge – che vigilavano affinché gli ospiti ricevessero tutto il necessario per poter condurre una vita dignitosa.
L’istruzione cristiana, il lavoro artigiano e la formazione nelle lettere o nella musica per i più dotati, erano alla base degli insegnamenti impartiti ai giovani accolti in queste strutture organizzate sul modello monastico. Le giornate erano scandite dal lavoro, dalle preghiere, dalle letture dei testi sacri, dall’ufficiatura del coro in canto, dalla preparazione alla vita matrimoniale o al monacato: un rigore frutto del desiderio di riforma ecclesiastica in senso spiritualistico e ascetico in un’epoca che vide la Chiesa di Roma vivere la sua crisi più profonda.
Non erano solo uomini di fede ad attuare questo programma, ma anche numerosi devoti laici veneziani – uomini e donne – che entravano come “fratelli” nelle congregazioni che amministravano gli Istituti. È proprio attraverso i loro volti e le loro vite che potremo ripercorrere la storia di questi luoghi, una galleria di ritratti che immortalarono i volti dei cittadini che si erano distinti per la loro opera di “buon governo” o per la generosità dei loro lasciti, ottenendo, simbolicamente e fisicamente, l’ingresso della borghesia d’affari nel mondo delle benemerenze pubbliche, un tempo appannaggio esclusivo della nobiltà.
Un atto che, contestualmente al suo significato più stretto di riconoscimento per le doti umane del personaggio, sanciva il tramonto dell’era del commercio internazionale all’ingrosso che aveva costituito la tradizionale e leggendaria ricchezza della città, per un nuovo “mondo” del commercio al minuto con la vendita di prodotti di lusso e con l’espansione delle manifatture, fonte di ricchezza nuova.