Gioielli Nascosti di Venezia Mare Nostrum-

TE VEO, ME VEO – Lidia Leon

a cura di Roberta Semeraro e Iris Peynado
Venezia, Fondamenta Zitelle
9 maggio 2019 – 30 settembre 2019
dal Mercoledì al Lunedì 10.00 – 18.00

 

Nella mostra “Te veo, Me veo” l’artista Lidia Leon da spazio e forma a concetti che sono alla base dei diritti umani, mettendo in correlazione due principi fondamentali dell’etica: la libertà e l’uguaglianza.
Nell’installazione interattiva che dà il titolo alla mostra, con un’altalena allegorica di rimandi e spunti storici (a partire dalla forma cosmica dell’uovo), León invita il visitatore a riconoscersi negli altri oltre che a ritrovare la sua profonda identità nell’immagine riflessa dallo specchio.
Riconoscersi negli altri è un comportamento fondamentalmente etico che permette di raggiungere una sana ed equilibrata visione del prossimo, superando le discriminazioni di ogni genere e sorta. Oltre a riconoscersi negli altri è importante cercare e trovare la bellezza nella semplicità delle cose e in particolare nel corso naturale degli eventi, accettando il ciclico divenire del mondo.
Non a caso León che si è formata negli studi di architettura, cita un pensiero dell’architetto giapponese Tadao Ando (conosciuto a Venezia soprattutto per il suo felice intervento di restauro di Punta La Dogana, uno dei luoghi emblematici della città!) che dice: “WABI SABI è l’arte giapponese di cercare la bellezza nell’imperfezione e profondità della natura, accettando il ciclo naturale della crescita, del deperimento e della morte. È semplice, lento e ordinato. È soprattutto autenticità”.
“Te veo Me veo” arriva direttamente dalla cosmogonia in quanto richiama l’uovo cosmico, che nelle chiese cristiane-ortodosse veniva appeso nel catino absidale.
Se vediamo poi l’arte come un linguaggio inconscio, che porta alla gratificazione dell’autore nel manufatto artistico, con la conseguente sublimazione dei contenuti nella forma e nella struttura dell’opera d’arte, “Te veo, me veo” è collegabile anche alla nascita e ri-nascita della personalità di Lidia Léon che ritrova la propria integrità di donna e artista nell’atto creativo.
Come l’uovo con il suo involucro custodisce il mistero della vita, la corazza di alluminio dell’opera “Te veo, Me veo”, nasconde nel suo interno, il meccanismo attraverso il quale si sviluppa la vita stessa, che è appunto la compenetrazione del soggetto con l’oggetto della conoscenza”.
La serie di opere “Wabi Sabi” a partire dal 2016, richiama lo spettatore ad essere vigile, a guardare oltre l’apparenza, e a scoprire la bellezza di tutti i giorni di cui tutti facciamo parte.
Accettare e rispettare i processi naturali di decomposizione e trasformazione della materia, è importante per raggiungere una completa consapevolezza di noi stessi e della sostanza effimera e caduca di cui siamo fatti e di cui è fatto il mondo. Con queste opere, l’artista propone una visione estetica basata su tre semplici verità; nulla dura, nulla è finito, nulla è perfetto. “Wabi” identifica la semplicità rustica, la freschezza o il silenzio può essere applicato a oggetti artificiali o naturali. Può anche riferirsi alle imperfezioni che rendono le cose davvero uniche. Mentre “Sabi” è la bellezza e la serenità che accompagnano l’avanzare dell’età, quando le cose si usurano e il tempo diventa visibile nei segni. Entrambe le parole esprimono concetti di trascendenza e di grande spiritualità. La chiesa palladiana delle Zitelle dalle forme classicheggianti, è il luogo ideale per accogliere il sincero messaggio di conforto e speranza dell’artista ad un mondo che sta cambiando e che sta andando in diverse direzioni ancora per noi sconosciute.
L’artista dominicana, che espone per la prima volta in Europa, in età giovanile ha seguito un percorso formativo attraverso la fotografia, le arti applicate e in seguito l’architettura ed è cresciuta in una famiglia cattolica, che da più generazioni con E. León Jimenes Cultural Center valorizza l’arte e la cultura nel proprio Paese.

“Immanuel Kant (il cui pensiero nel trattato della Ragion pratica è specificamente fonte d’ispirazione
per Lidia León), come molti altri filosofi e pensatori, ha provato a dare spiegazione ad una regola apparentemente semplice ma smentita dall’intolleranza e dalle discriminazioni razziali che continuano a perpetuarsi. Affermando: “Agisci in modo da trattare l’umanità sia nella tua persona che in quella di ogni altro sempre come fine e mai come semplice mezzo” il filosofo tedesco evidenzia la stretta corrispondenza di ogni singola azione con la realtà nella quale avviene, avendone in quest’ultima i suoi effetti e le sue conseguenze. Se pertanto guardiamo agli altri ritrovando in loro, un riflesso di noi stessi, come ci invita a fare l’artista, non ci sarà mai alcuna strumentalizzazione nei rapporti umani ma soltanto reciprocità tra gli individui, ai quali sarà garantito di vivere in un regime di giustizia e uguaglianza”.

Il sito espositivo è un altro degli elementi di fondamentale importanza della Mostra. “La collocazione di “Te veo, Me veo” nella chiesa di Santa Maria della Presentazione a Venezia trova le sue motivazioni nelle sacre scritture evangeliche degli apostoli Matteo e Luca.
Ma non solo; è contestualizzata nelle attuali politiche di tolleranza ed integrazione promosse dalla Chiesa e dai movimenti più progressisti della società contemporanea. Non bisogna dimenticare, poi, che questa chiesa in particolare, era il luogo di culto del complesso delle Zitelle, l’antico collegio che accoglieva le ragazze povere sottraendole alle meschinità della vita”.

La Mostra è realizzata in collaborazione con l’Ambasciata italiana di Santo Domingo in occasione delle celebrazioni dei 120 anni delle relazioni diplomatiche tra l’Italia e la Repubblica Dominicana.