Antonio Molinari
(Venezia 1655-1704)

Davide con la testa di Golia e Sansone che si disseta

nono decennio del XVII secolo
olio su tela ovale, cm. 113 x 92,5

Marina Nani Donà, esponente della nobile famiglia veneziana, nel 1790 lasciò questo e altri dipinti – tra cui il pendant di questo ovale, in cui è ritratto Sansone che si disseta – al Pio Istituto delle Penitenti di San Giobbe. Pietro Edwards per primo (1790) lo attribuì ad Antonio Molinari, mentre lo storico dell’arte Giuseppe Maria Pilo (1982) ipotizzò una collocazione cronologica prossima al ciclo mariano realizzato dal Molinari nella chiesa di Santa Maria dei Derelitti, ovvero alla metà degli anni ottanta del xvii secolo, nella piena maturità del suo percorso artistico, resosi da tempo autonomo dall’egida di Antonio Zanchi che le fonti, unanimi, testimoniano essere stato il suo maestro.

La pensosa e malinconica figura del giovane eroe biblico – il pastorello divenuto re di Israele – emerge morbidamente dall’ombra di fondo nella sua nudità adolescenziale, resa con una stesura robusta che bene si accorda alla produzione pittorica del Molinari di questo periodo.

Davide vi è raffigurato dopo il combattimento con il gigante Golia, il campione che i Filistei (i Samuele, 17, 38-51) avevano messo in campo ma che il giovane riuscì a sconfiggere con l’astuzia, dapprima colpendolo al capo con un sasso lanciato dalla sua fionda, poi, afferrata la spada del Filisteo, mozzandogli la testa.

Il Sansone che si disseta condivide le medesime vicende storico critiche del Davide.

Il protagonista, uno dei giudici d’Israele nell’Antico Testamento, fatto ritorno ad Ascalona, scopre che la moglie era stata ceduta dal padre ad un altro uomo. Alla proposta di prendere come sposa la cognata, Sansone, adirato per il grave affronto, decide di vendicarsi incendiando tutti i campi coltivati dei Filistei. La loro vendetta non tarda ad arrivare con l’uccisione della moglie e del suocero. Di tutta risposta, Sansone perpetra una vera e propria strage nel villaggio, prima di fuggire e di nascondersi in Giudea; ma gli abitanti della Giudea, minacciati dai Filistei, consegnano Sansone ai nemici che lo fanno prigioniero. Pur legato con delle grosse funi, egli riesce a liberarsi e, armato solo di una mascella d’asino, riesce a uccidere mille uomini, per poi dissetarsi con il teschio dell’animale (“Giudici, 15, 14-19”). Come nel precedente, anche in questo ovale l’artista sceglie di ritrarre l’eroe dopo il combattimento, in uno stato di quiete.

Analogamente che nelle tele dell’Ospedaletto, si avverte in entrambi i dipinti un’iniziale presa di distanza dalla cultura dei pittori “tenebrosi” attraverso l’adozione di effetti atmosferici più morbidi e fisionomie più aggraziate, anche se il pittore non rinuncia a una certa teatralità dei gesti, cifra inconfondibile del suo lessico. Molinari si esprime con un segno nitido che segue attentamente il contorno delle anatomie che emergono dai fondi scuri in tutto il loro possente plasticismo, attraversate da fasci di luce che mettono in rilievo la muscolatura di questi due eroi maschili. L’impegno espresso dall’artista si coglie anche nell’attenzione rivolta alla resa accurata dei particolari e nella complessità gestuale dell’elegante e sofisticato movimento delle mani.

Completamente padrone dei propri mezzi tecnici e linguistici, Molinari vive quest’ultimo decennio di attività in modo frenetico; riconosciuto come uno fra i pittori più affermati in città, viene chiamato a far fronte a numerose commissioni pubbliche per chiese e confraternite, senza trascurare, nel contempo, la richiesta di dipinti devozionali e pitture da cavalletto, come questi due intriganti ritratti di personaggi biblici che vengono presentati nelle pagine di questo catalogo.