Du champ magnétique
“a cura di Raffaella Perna e Kevin Repp
Venezia, Palazzo Contarini del Bovolo
9 maggio 2017 – 15 ottobre 2017
aperto tutti i giorni 10.00 – 18.00
Promossa dalla Galleria d’Arte Maggiore G.A.M. di Bologna in collaborazione con la Fondazione Echaurren Salaris di Roma.
La mostra è incentrata sulla rilettura dell’opera di Duchamp “Nudo che scende una scala” che trova nell’architettura del Bovolo la sua sede ideale. Il “nudo” (“nu” in francese) diventa dunque “noi” (“nous” in francese), noi che saliamo e scendiamo la Scala del Bovolo siamo dunque protagonisti di questa mostra, non solo semplici spettatori ma attori. Il “salire” e lo “scendere” sono perciò azioni centrali nella ideazione e costruzione di questa esposizione site specific.La mostra propone una serie di opere realizzate nell’arco di quarant’anni in cui Pablo Echaurren dialoga con l’ombra del padre dell’arte concettuale Marcel Duchamp. Il percorso si sviluppa lungo lo spazio fisico della scala, che nella sua forma a spirale (bovolo in dialetto veneziano significa “chiocciola”) rimanda emblematicamente alla coppia di opposti alto/basso e ascesa/discesa.
Traendo spunto dal lavoro “Nu descendant un escalier”, l’artista ha concepito una serie di cartelli segnaletici che invitano lo spettatore, con un gioco di parole onomatopeico, a salire le scale (Nous ascendants un escalier) e poi a discenderle (Nous descendants un escalier).
La mostra è anche un viaggio nel tempo lontano/vicino e immaginato/vissuto che collega tre date: 1917, 1977 e 2017.
1917: anno in cui Duchamp presenta il ready-made Fountain, l’opera provocatoria per antonomasia.
1977: abbandonata per qualche tempo la professione di artista, Echaurren, legandosi alla corrente ironica e creativa dei cosiddetti indiani metropolitani, elabora con il gruppo un nuovo linguaggio collettivo basato sull’uso delle provocazioni duchampiane ma in chiave politica, creando fanzine, disegni, collage e dando vita a happening a sorpresa.
2017: l’artista decide di recuperare i materiali legati a quei momenti, quaderni, appunti scritti e disegnati, proponendo anche nuovi lavori che mettono in evidenza la possibilità di servirsi ancora oggi di Duchamp come un palinsesto su cui tracciare un percorso personale.
Il fulcro della mostra è rappresentato da una serie di collage che entrano in rotta di collisione con i materiali cartacei della “boîte verte”, la scatola duchampiana intitolata “La mariée mise à nu par ses célibataires, même (1934)”. Un’opera che rappresenta per Echaurren non solo un personale oggetto d’affezione ma anche uno stimolo e uno spunto di riflessione sul fare arte come prassi legata alla dimensione del pensiero.
La scatola, com’è noto, contiene la riproduzione di appunti, foto, disegni e fogli strappati relativi all’elaborazione del Grande Vetro. Una sorta di cassetta degli attrezzi ma anche un potenziale collage.
Echaurren, che sin dal 1969 ha praticato la via del collage accanto alle altre discipline artistiche, ha utilizzato copie dei facsimile della “boîte” per realizzare cinquanta lavori in un’ideale partita a scacchi con il grande maestro. Al fine di rimarcarne l’importanza, un esemplare originale della scatola è materialmente presente nella mostra.
A conclusione dell’itinerario, la scultura di ceramica U/siamo tutti Duchamp, una copia dello storico orinatoio firmato R. Mutt, sulla quale Echaurren è intervenuto applicandovi una sorta di tatuaggio realizzato con una tecnica desunta dal compendiario della grottesca faentina cinquecentesca, trasformando così l’oggetto in una suppellettile straniante attraverso un détournement in bilico tra medioevo, graffitismo, passato e presente, alto e basso.