Leandro da Ponte
(Bassano 1557 – Venezia 1622)

Presentazione di Maria al Tempio

1586 olio su tela centinata, cm. 332 x 168

Il mercante di origini bergamasche Bartolomeo Marchesi, fu uno dei primi governatori del pio luogo delle Zitelle, ricordato dalle fonti tra coloro che accolsero, il 10 giugno 1561, nel corso di una sontuosa cerimonia alla presenza del patriarca Giovanni Trevisan, le prime quaranta fanciulle, prescelte per essere ospitate nell’istituto allo scopo di metterle in salvo dal rischio di intraprendere la via della prostituzione, date le condizioni sociali ed economiche disagiate delle loro famiglie.

Nel suo testamento, redatto nel luglio del 1583, Marchesi dichiarò la sua volontà di essere sepolto nella nuova chiesa che proprio in quegli anni si andava edificando su progetto di Andrea Palladio, destinando cinquecento ducati d’oro per la costruzione di «[…] un altare nella chiesa nuova che al presente se fabbrica alla Zuecca al luogo delle Zitelle, qual altar sia fatto de consenso e voler di quelli magnifici Governatori e Governatrici del ditto luogo delle Citelle e che avanti al ditto altare sia fatta la mia sepoltura […]». E così fu. L’altare, com’è attestato dalle fonti e dall’iscrizione sepolcrale ai suoi piedi, venne costruito nel 1586 e alla sua base trovò sepoltura il munifico governatore. Probabilmente al medesimo anno si può ricondurre anche la realizzazione della splendida e monumentale pala con la Presentazione di Maria al Tempio il cui soggetto si rifà alla tradizione di ricordare l’intitolazione della chiesa nel dipinto più importante – quello, per l’appunto, destinato all’altar maggiore – ma che, nel contempo, doveva fungere da esempio di vita virtuosa per le fanciulle ospitate nell’istituto.

La composizione trova un deciso sviluppo verticale e culmina nella figura di Maria bambina che si staglia su un fondale scuro, osservata dagli anziani genitori mentre sale le scale del tempio.

Ai piedi della scalinata, nel margine destro del dipinto, sono raffigurati il donatore, Bartolomeo Marchesi, e la consorte, Gerolama Bonomo.

La composizione è densa di riferimenti liturgici: la personificazione della Caritas – una giovane donna circondata da bambini – compare per ben due volte, una sotto il ritratto dei committenti e una in primo piano nel registro inferiore del quadro; due colombe appaiono ai piedi del bambino paffuto, forse portate dal viandante semisdraiato nel riquadro sinistro della scena. Il gruppo di figure con uccelli e un cesto di uova – come ebbe a scrivere Lionello Puppi (1992) – alluderebbe invece a una rappresentazione non cristiana della vita, simboleggiando il popolo degli ebrei che, assorti nei loro traffici, non si curano dell’evento che si sta svolgendo sotto i loro occhi e non si accorgono nemmeno della ciliegia caduta sul gradino, accanto al ginocchio del donatore, simbolo della Passione di Cristo.

La paternità del dipinto ha un curriculum controverso. Attribuita a Leandro da Ponte dalla testimonianza di Giovanni Stringa (1604), è invece data a Francesco – il più anziano fra i figli di Jacopo Bassano – da Carlo Ridolfi (1648). Questa seconda attribuzione sarà confermata da tutta la critica sei e settecentesca e dalle guide successive di Venezia; del medesimo parere, in epoca assai recente, è Lionello Puppi, che vi riconosce la mano di Francesco Bassano per le affinità che legano il nostro dipinto alla Presentazione di Cristo al Tempio della Galleria Nazionale di Praga, realizzato negli stessi anni. Al contrario, Giuseppe Maria Pilo propende per la seconda ipotesi attributiva, dando credito alla testimonianza dello Stringa che scrive a breve distanza di tempo dall’esecuzione dell’opera.

Quel che è certo, è che il suggestivo dipinto si caratterizza per l’alta caratura qualitativa, data soprattutto dalla scelta di gamme cromatiche accese che contrastano con il fondo buio in cui sono immersi gli imponenti colonnati, e dall’acceso cangiantismo delle preziose vesti femminili.