Lorenzo Lotto [attribuito]
(Venezia 1480 – Loreto 1556)

San Girolamo in meditazione

quinto decennio del XVI secolo – olio su tela, cm. 91 x 83

In uno studio del 1984, lo storico dell’arte Bernard Aikema prese in considerazione alcune versioni del San Girolamo in preghiera e del San Girolamo penitente dipinte da Lorenzo Lotto nel corso della sua lunga e feconda carriera artistica. Facendo costante riferimento al Libro di spese diverse – il prezioso “diario” manoscritto dal pittore veneziano, contenente una messe incredibile di notizie di natura privata e professionale, che ci consentono di seguire le vicende quotidiane della sua vita dal 1538 fino agli ultimi anni trascorsi nel santuario di Loreto dove terminerà il suo viaggio terreno nel 1556 – Aikema ipotizzò una stretta correlazione fra alcune annotazioni che compaiono sulle pagine del manoscritto relative a Vincenzo Frisieri e la versione del San Girolamo in preghiera conservato al Museo del Prado di Madrid. Il Frisieri, che era uno dei governatori dell’Ospedale dei Derelitti (l’Ospedaletto), nel 1546 avrebbe commissionato al nostro pittore, per conto di alcuni padri del pio istituto, un San Girolamo in preghiera destinato ad arredare l’altare della cappella costruita nel 1528 per rispondere ai bisogni spirituali di quell’ospedale, fondato per l’appunto nel febbraio di quell’anno, ma per la quale nessun arredo era stato fino ad allora pianificato.

Sappiamo che i rapporti di Lorenzo Lotto con il pio istituto furono fin da subito molto stretti; anch’egli apparteneva alla “Congregazione” dei governatori, e all’Ospedale, come risulta dal Testamento del 1546 conservato nell’Archivio I.R.E., decise di lasciare tutti i suoi beni: perciò la notizia della commessa al nostro pittore, non meraviglia più che tanto. Molto più curiosa appare invece la scelta da parte dell’artista di eleggere ancora una volta a protagonista di una pala, proprio san Girolamo. Ripeto, ancora una volta, giacché siamo a conoscenza di numerose versioni del tema affrontate dal Lotto durante il suo percorso professionale. Il dotto asceta non solo compare, vestito da cardinale con un volume aperto della Bibbia nella sinistra e un crocifisso in legno nella destra, in quel capolavoro unico che è la realizzazione a fresco dell’oratorio Suardi a Trescore Balneario (Bergamo), ma diviene il protagonista di molti altri dipinti destinati a un’eletta clientela di umanisti devoti che avevano elevato quel Padre della Chiesa a proprio speciale patrono. Si va dagli esemplari del Louvre e di Castel Sant’Angelo, a quello della Galleria Doria Pamphilj e del Prado, passando per quelle di Sibiu e di Bucarest (solo per citarne alcuni): un nutrito gruppo di opere al quale, in via ipotetica, offriamo al lettore la possibilità di aggiungerne un’altra, appartenente alle ricche collezioni d’arte dell’I.R.E., la cui paternità non è supportata da alcun documento ma per la quale alcuni studiosi hanno proposto proprio il nome del pittore veneziano. Ed è il dipinto che qui si pubblica.

Torniamo ancora per un momento alla versione del Prado. Se Aikema nelle sue riflessioni del 1984, ritenne le misure del San Girolamo in preghiera madrileno (cm. 99 x 90) adatte a rispondere alle esigenze di arricchire il modesto altare dell’appena edificato ospedale (contrariamente alle versioni di Bucarest e di Roma, il cui formato assai modesto li inserisce nell’ambito dei quadri destinati alla devozione privata), anche le dimensioni del nostro San Girolamo penitente (cm. 91 x 83), non molto diverse da quelle del Prado, potrebbero apparire tali.

Diversa è invece l’iconografia delle due opere. Il dipinto di Madrid ci mostra la figura di un san Girolamo eremita nel deserto e assorto in preghiera, quasi “inghiottito” dalla vastità del paesaggio circostante; al contrario, nel dipinto I.R.E., che qui si pubblica, il Santo campeggia al centro della tela, stagliandosi sul buio del fondo roccioso, colto in un’espressione totalmente ascetica, mentre fissa il grande Crocifisso che regge con la mano sinistra e, contestualmente, castiga il proprio petto con una pietra stretta nella mano destra. Entrambe le interpretazioni iconografiche, tuttavia, derivano da una medesima fonte letteraria: le lettere che il Santo scrisse nel 384 alla sua pupilla Eustochio, vedova e patrizia romana, con la quale intrattenne una vera e profonda amicizia e che lo seguì quando Girolamo abbandonò Roma per Gerusalemme. L’aspetto penitente che Girolamo stesso descrive così dettagliatamente nelle sue missive, tornò in auge proprio nella prima metà del Cinquecento, sull’onda delle nuove esigenze morali avvertite dai sostenitori delle correnti religiose riformate veneziane, che nel convento dei Santi Giovanni e Paolo, adiacente all’Ospedaletto, avevano uno dei loro centri più vivi. Appariva congeniale, a queste esigenze riformiste, l’immagine di un santo capace di superare i desideri della carne e di ottenere la grazia spirituale con l’esercizio della patientia e dell’humilitas, giungendo infine alla purificazione indispensabile ad affrontare l’attività esegetica.

Pertanto, nel sommare i numerosi tasselli che da questa breve descrizione sono emersi – l’intensa spiritualità del Lotto, le importanti trasformazioni che nella prima metà del Cinquecento coinvolsero il “pio istituto” dell’Ospedaletto, i movimenti di riforma nati in seno alla Chiesa cattolica e che avevano trovato nei Santi Giovanni e Paolo un importante centro di irraggiamento, la popolarità in quegli anni di questa iconografia negli artisti legati ai circoli della Riforma cristiana ­– parrebbe prender forza la proposta di paternità lottesca anche per questo splendido dipinto con San Girolamo penitente. Un’opera qualitativamente eccelsa sia nella modalità ritrattistica, dove nessun particolare somatico viene trascurato – dalla sottigliezza dei capelli, alla bianca, impalpabile barba, dalle rughe profonde che solcano la fronte del vecchio e che contrastano con un corpo ancora vigoroso e atletico, alla forza che sprigiona dalla postura delle dita delle mani che stringono saldamente la croce e la pietra – sia nella scelta cromatica, che gioca con tutte le varie modulazioni del bianco e del rosa nel corpo del Santo, fino a letteralmente “accendersi” nel rosso della veste a coprirgli il bacino, per poi di nuovo spegnersi nell’avorio opaco del macabro teschio. Un ritratto che ricorda assai da vicino, nella scelta postura, come nell’esaltazione della tesa muscolatura, il san Girolamo di Castel Sant’Angelo, al quale lo lega la medesima interpretazione in marcata chiave fiamminga, sottesa a far risaltare ogni più piccolo particolare.