Francesco Pittoni
(Venezia 1645-1724 ca)

Venere, Marte e Amore

secondo decennio del Settecento
olio su tela, cm. 180 x 140

Anche questo dipinto, analogamente al Gesù risorto appare alla Maddalena, proviene dall’Istituto delle Penitenti ed è stato attribuito a Francesco Pittoni. Apparterrebbe, tuttavia, a una fase migliore e più avanzata del percorso artistico del pittore, come si evince dal movimento più fluido e ‘naturale’ dei personaggi ritratti e dal colore più leggero e schiarito che caratterizza l’intera composizione. Le analogie che lo avvicinano al Lot e le figlie e alla Morte di Cleopatra (entrambe in collezioni private), suggerirebbero una sua posizione cronologica al secondo decennio del xviii secolo, periodo in cui la presenza di Pittoni è documentata a Venezia attraverso la sua iscrizione alla Fraglia dei pittori.

L’artista affronta in questo caso un tema mitologico, sviluppando una scena galante che ha come protagonisti Venere, Marte e Adone, sullo sfondo di una radura boschiva.

Una sensuale Venere regge uno specchio sul quale un Marte compiaciuto, seduto su una roccia, si specchia; le sue insegne – elmo, scudo e faretra –sono deposte ai suoi piedi, mentre la lancia – non più simbolo di morte, perché avviluppata da un serto di rose – è retta da Cupido che volge il suo sguardo verso noi spettatori, invitandoci ad ammirare l’episodio amoroso.

La scelta cromatica predilige i colori accesi del giallo oro del mantello di Venere, del rosso acceso e del blu cobalto delle vesti di Marte.

Forse può meravigliare la presenza di un soggetto decisamente profano in un luogo di redenzione quale era l’istituto delle Penitenti, dove i riferimenti iconografici dovevano ispirare, piuttosto, la preghiera e il raccoglimento spirituale. A meno che non si dia credito alla lettura interpretativa che vede nella figura di Venere seduttrice il ritratto di una cortigiana – come suggerirebbe il giallo acceso del mantello e la presenza delle rose – la cui presenza avrebbe costituito un ammonimento costante alle ragazze e un invito a dimenticare le tentazioni dell’amore carnale per abbracciare l’amore divino.

Non è da escludere che l’opera facesse parte del lascito del patriarca Marco Gradenigo, presidente della pia casa, che donò «quadri grandi di favole» con la precisa richiesta che andassero ad arredare la sala di rappresentanza.